Franco Ferlenga
PITTORE - SCULTORE - ARCHITETTO
Paesaggi
Aggirandomi un giorno nei pressi del laghetto di Redecesio, una vecchia cava nell’immediato hinterland milanese, scoprii quasi per caso la nuova architettura che stava crescendo dopo la “ grande violenza”, quelle periferie industriali in lotta con l’ultimo verde che rispecchiavano nell’acqua le loro torbide immagini rovesciate, surreali. Annotai sul mio taccuino qualche appunto per poterne tradurre in seguito, a distanza, come ho sempre fatto, la voce segreta filtrata attraverso il tempo della memoria. Erano tralicci, serbatoi, ciminiere, gasometri in un ordine metafisico governato da sue leggi precise. (F.F.)
All’indomani del grande conflitto, l’aspetto delle nostre periferie industriali, si presentava assai diverso da quello di oggi. Le architetture che ne connotavano le fabbriche non erano nate per l’impiego che nel tempo ne sarebbe stato fatto, spesso derivavano dal riuso di costruzioni precedenti, che di volta in volta erano state: scuole, conventi, caserme, chiese, e che inconsciamente ne rievocavano splendori e miserie.
Di tale architettura, per altro emotivamente interessante, rimangono ben scarse tracce poiché le forme sono andate evolvendo verso geometrie più metafisiche ma più adatte a contenere i nuovi processi produttivi, In un primo tempo mi fu difficile accettare, nei miei quadri, tali sollecitazioni ma pian piano mi ci affezionai e ciò potrebbe, in qualche modo spiegare una delle ragioni che sembrano aver mutato la fisionomia delle mie opere mentre forse a cambiare fu solo l’oggetto del mio interessamento. (F.F.)
Due sono gli elementi più importanti che mi interessano: il cielo e l’acqua. Nelle periferie di un tempo, l’acqua faceva spesso da zoccolo alla composizione; non riuscivo a liberarmene, forse per il fascinoso raddoppio dell’immagine con la conseguente creazione di un’atmosfera surreale ma anche, probabilmente, per l’inconscio bisogno di rendere omaggio ad un elemento che costitusce la parte preponderante di ogni cosa creata. Nei confronti del cielo, viceversa, il rapporto cambia; ne ho sempre avuto una autentica soggezione, un rispetto inconscio, provocato forse dal ricordo di quando bambino, stavo sdraiato per ore sull’erba ad ammirarne l’immensità. Decidermi a dipingerlo è stato un atto di coraggio come per il credente, guardare negli occhi la divinità. (F.F.)

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