Franco Ferlenga
PITTORE - SCULTORE - ARCHITETTO
Pittura Etrusca


Pittura alla mostra dell’arte e della civiltà etrusca a Milano
In una mia breve nota d’arte, apparsa nel n° 24 di questa rivista, tralasciai di proposito di parlare della pittura che tuttavia occupa un posto preminente nell’arte etrusca, rispetto alla scultura e all’architettura. Non ne parlai per tirannia di spazio ma più ancora nel dubbio che gli esemplari presenti alla rassegna milanese (e qui mi riferisco principalmente alle tombe di Tarquinia ricostruite) fossero nelle condizioni di dare un’idea esatta di ciò che costituisce l’essenza di tale arte.
Nel 1923, Alfredo Melani scriveva: “ Il pittore etrusco, come colorista, certe volte si allontana brutalmente dal vero; la tomba cornetana del Triclinio, una tra le più belle, contiene dei cavalli turchini e rossi, le unghie verdi e le criniere di un altro colore. Anche certe figure umane contraddicono l’istinto naturale ma, evidentemente, il pittore etrusco cercava gli effetti decorativi, le macchie vistose, nell’ordine del suo temperamento passionale”.
Purtroppo il passo citato che rivela in questi artisti una coscienza più espressionista che decorativa, non trova oggi piena giustificazione nel clima pittorico, torbido e sfuocato di queste tombe dove i toni delle figurazioni sbavano spesso oltre i limiti del contorno, aiutati da una luce che nonostante le ottime intenzioni, si dimostra insufficiente e fastidiosa.
Sostanziate da una prodigiosa carica vitale finché rimasero serrate nel buio dei secoli, svelate e portate alla luce, queste pitture, sono sfiorite come sfioriscono certi fiori al primo sorgere del sole, sbiadendo rapidamente e perdendo quel fantastico senso di mistero, come impotenti a mettersi in linea con un tempo dal significato troppo diverso da quello per il quale furono create. Prescindendo dalle lacune della pur volenterosa presentazione milanese e dai danni ben più gravi causati dall’umidità, dalla muffa e dalle formazioni calcaree che resero inevitabile lo strappo degli affreschi dalla sede naturale e il loro riporto sulla tela, è evidente che ci troviamo di fronte a due tra i complessi pittorici più completi, affascinanti e stilisticamente validi dell’arte antica.
Aristotele poneva a fondamento non solo della poesia ma di tutte le arti la “mimesi” vale a dire l’imitazione della natura. Nelle opere in esame, come altrove, il realismo costituisce l’elemento tipico che la caratterizza e in seguito caratterizzerà tutta la pittura italiana ponendola decisamente al di fuori e al di sopra di pericolosi decorativismi e metafisiche per la sua capacità di attenersi al vero, di studiare gli aspetti, di sviscerarne il significato profondo. Nel compilare la storia della pittura italiana, assai di rado si usa risalire oltre al Mille, ignorando deliberatamente il canale di sotterranee influenze che la pittura etrusca spinge a noi. Naturale pertanto che Bartolomeo Nogara in un suo libro sulla civiltà etrusca sia riuscito a dimostrare con notevole consistenza di argomenti che appunto le regioni dove si impose e fiorì questa civiltà sono le stesse che videro nascere, nel Medio Evo e nel Rinascimento, le più imponenti personalità artistiche.
Altra caratteristica comune alle due pitture, l’etrusca e l’italiana, è la tendenza alla totale espressione dell’umano, voglio dire la tendenza a rappresentare prima di ogni cosa l’uomo e, intorno ad esso, quanto concorre a conferire evidenza alle sue azioni: paesaggio, piante, animali, che ritroviamo sempre nel quadro in un piano subordinato rispetto al primo.
Si osservi come è stato risolto l’ambiente nella tomba del Triclinio, dove, tra figura e figura, si innesta lo schema sottile di un alberello popolato da uccelli e dove un’assoluta importanza assumono i corpi tesi nel movimento della danza ottenuto con un andamento lineare, fluido e sinuoso. Qui il movimento frenetico, inquieto, nervoso, diviene ritmo, metro, cadenza classica ed è talmente composto che appena nato entra a far parte dell’eternità di quel tempo favoloso.
Non ci si lasci dunque tropo facilmente sviare dal presente stato di disfacimento del colore, da quel che c’è in esso di marcio, di fumoso, di ruggine, poiché questa non è la sua vera natura; ché quei toni, a quanto risulta, furono un tempo pieni e decisi e saldamente contenuti entro nervosi contorni (che qui a volte sembrano diluirsi nel vuoto) come si addice ad un’ottima pittura a fresco che non ammette ambiguità e leziosismi.
Franco Ferlenga, 1955
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Tomba etrusca del Triclinio, Tarquinia
2. Tomba etrusca del Triclinio, Tarquinia
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